Il 26 ottobre 2015 è uscito l’atteso rapporto dell’OMS che inserisce nel gruppo 1 IARC (sostanze cancerogene per gli esseri umani) le carni lavorate e nel gruppo 2A (probabilmente cancerogene per gli esseri umani) le carni rosse.
La notizia ha avuto un ampia eco mediatica, e in generale le spiegazioni necessarie perché una corretta informazione arrivi a chi non è del mestiere sono state fornite abbastanza correttamente. In altri casi sono state decisamente incomplete. In alcuni addirittura fuorvianti. Per non parlare dei siti che hanno fatto disinformazione volontaria. Per cui facciamo un po’ di chiarezza.
Il gruppo 1 contiene una lista di 118 sostanze per le quali vi sono prove esaustive della loro cancerogenicità. Ma questo non significa che il solo vedere una sostanza del gruppo 1 mi causi un cancro. Atri fattori da considerare sono la dose ed il tempo di esposizione, ad esempio.
Basti pensare che nel in questo gruppo rientrano, oltre alle carni trasformate (e non le carni rosse, attenzione!) altre sostanze o radiazioni con cui veniamo tutti i giorni in contatto: radiazioni solari e lampade UV per l’abbronzatura, fumo (anche passivo), bevande alcoliche, inquinamento atmosferico, scarico dei motori diesel, estroprogestinici…
I titoloni generici del tipo “carne = cancro” sono quindi errati. Come abbiamo visto, solo la carne trasformata è considerata sicuramente cancerogena (vedremo dopo in che misura). La carne rossa lo è probabilmente (le evidenze sugli umani sono limitate, ma vi sono meccanismi d’azione ben spiegati). La carne bianca, invece, non lo è.
Va poi detto che non c’è nulla di nuovo sotto il sole, dal momento che il WCRF, già nel 2007, consigliava di moderare il consumo di carne (specie quella rossa) ad un massimo di 500g a settimana e di evitare il consumo di carni trasformate.
Ma quanto è cancerogena?
Nel comunicato stampa (che è possibile reperire qui), si fa riferimento ad un aumento del rischio di cancro colon-retto pari al 18% se si consumano 50g al giorno di carni conservate. Ovvero 350 g a settimana.
L’incidenza di questa patologia, stando ai dati del rapporto “I numeri del cancro in Italia 2014” (non sono riuscito a procurarmi l’edizione 2015) è approssimativamente di 52.000 nuovi casi all’anno. Sono circa 86,5 casi su 100.000.
Questo significa che, a livello individuale e senza tenere conto dei fattori di rischio soggettivi, ognuno di noi ha una probabilità pari allo 0,087% (perdonatemi la statistica spannometrica) di sviluppare questa patologia, a patto di mangiarsi 350 g di salumi e wurstel a settimana.
Quel 18% in più va ad agire proprio su questa probabilità, portandola allo 0,1%, ovvero circa 102 casi su 100.000. E’ chiaro che questo ha un impatto importante dal punto di vista epidemiologico (sono 9.000 casi in più all’anno, non proprio noccioline), ma dal punto di vista personale rimane un rischio molto esiguo. E varia molto in base ai comportamenti soggettivi (Mangio sufficienti quantità di frutta e verdura? Fumo? Bevo alcolici? Pratico attività fisica?).
E nelle persone geneticamente predisposte?
In questo caso il rischio è un po’ più alto. Secondo il rapporto AIOM-AIRTUM: “Per gli individui appartenenti a gruppi familiari a rischio non ancora inquadrati in sindromi definite il rischio di ammalarsi di carcinoma del colon-retto è circa doppio rispetto alla popolazione generale nel caso in cui sia presente un consanguineo di I grado e più che triplo qualora quest’ultimo abbia contratto il tumore prima dei 50 anni di età.”
Si può arrivare quindi allo 0,3% di probabilità. Le persone con familiarità dovranno quindi stare un po’ più attente.
Che fare per proteggersi?
Circa l’80% dei carcinomi del colon-retto insorge a partire da lesioni precancerose (adenomi), legate a stili di vita e familiarità. Sulla familiarità possiamo fare poco, se non prevenzione tramite screening per la diagnosi precoce.
“Lo screening può consentire il riscontro e la rimozione di precursori (adenomi) prima della trasformazione in carcinoma e la diagnosi di carcinomi in stadio iniziale, con una conseguente riduzione della mortalità sia per riduzione dell’incidenza che per il riscontro di carcinomi in stadi più iniziali, e quindi suscettibili di guarigione dopo terapia.”
Possiamo invece agire molto sugli stili di vita:
- Per quel che riguarda l’alimentazione limitando al minimo il consumo di carni conservate, moderando quello di carni rosse, adottando un’alimentazione bilanciata che preveda un buon apporto di vegetali ed un’equilibrata assunzione di cereali e derivati (magari utilizzando ogni tanto prodotti integrali), e riducendo gli zuccheri semplici. E’ anche importante limitare i metodi di cottura che possono rendere pericolosa la carne rossa: barbecueing (cottura prolungata a basse temperature unita ad affumicatura) e grilling (cottura rapida a temperature elevate con scarso fumo).
- Praticando una regolare attività fisica e mantenendo il peso corporeo (specie la massa grassa) nei range di normalità.
- Abolendo le cattive abitudini quali fumo ed eccessivo consumo di alcol.
Quindi, se vi preoccupate del vostro consumo di carne rossa mentre state sul divano con la birra appoggiata sulla pancia e la sigaretta accesa, probabilmente state sbagliando qualcosa.
La nostra salute è nelle nostre mani, non dimentichiamocelo.